Tra innovazione tecnologica e questioni di privacy, la storia di Clearview AI: un’app che sta ridefinendo i confini della sicurezza.
La tecnologia ha superato un nuovo confine con Clearview AI, l’applicazione descritta come il “Google dei volti“, che promette di identificare chiunque partendo da una singola immagine.
Clearview AI attinge da un database di miliardi di fotografie per offrire ai suoi utenti la possibilità di risalire a informazioni dettagliate su individui fotografati. Kashmir Hill, giornalista del New York Times e autrice del libro “La tua faccia ci appartiene“, ha dedicato anni alla comprensione di questa tecnologia.
L’inizio dell’indagine su Clearview AI
“È successo una sera, quando ero a casa. Avevo in mano lo smartphone. Era mezzanotte e mi è arrivata una mail da una fonte con un allegato. Era un report di 26 pagine proveniente da un Dipartimento di Polizia in cui Clearview AI veniva presentato come un Google per volti,” racconta Hill, intervistata da Fanpage.it, spiegando il momento in cui la sua attenzione si è concentrata su Clearview AI.
Con oltre 40 miliardi di fotografie nel suo database, l’app sembra avere accesso a una quantità di informazioni senza precedenti. Questo ampio database contiene immagini che, secondo Hill, sono: “Provenienti da Facebook, da Instagram e anche da altri piattaforme. Anche Flickr è diventata una buona base di raccolta“.
Ma come si sente una persona sapendo che il suo volto può essere cercato e trovato in questo mare digitale? “Solo del mio volto ci sono 200 foto,” afferma Hill, sottolineando la pervasività di questa raccolta dati.
Come proteggere la propria privacy
Dietro Clearview AI c’è Hoan Ton-That, un imprenditore con una visione ambiziosa per il futuro della sorveglianza.
“C’è molto da dire su di lui. È molto concentrato sul suo progetto e sicuramente vuole diventare famoso. Nella sua visione tutti gli ufficiali di polizia useranno Clearview AI,” dice Hill, delineando il profilo di un uomo determinato a lasciare il segno.
Prima di Clearview AI, Ton-That aveva esplorato il mondo delle app e dei giochi, dimostrando un interesse precoce nel potere dei dati raccolti online.
Di fronte a tale capacità di raccolta e analisi dati, resta la domanda su come proteggere la propria privacy. “Non mettetele su internet. Se proprio dovete farlo, almeno tenete il profilo privato sui social,” consiglia Hill, sottolineando la necessità di una maggiore consapevolezza e cautela nell’era digitale.